Questa notte la forza aerea statunitense ha attaccato diversi siti di organizzazioni della resistenza islamica, sia in Siria che in Iraq, in risposta all’attacco che ha ucciso tre soldati statunitensi in una base al confine tra Siria e Giordania, ferendone qualche decina. Il Presidente USA, Joe Biden, ha già dichiarato che l’attacco di questa notte non sarà l’unico della rappresaglia ma che altri ne seguiranno. Dall’altro lato, le organizzazioni schierate dalla parte palestinese hanno già risposto a loro volta con attacchi su basi USA in Iraq e Siria. I governi si Siria e Iraq hanno denunciato l’attacco statunitense come una violazione della propria sovranità. Ovviamente, la rappresaglia degli Stati Uniti operata contro le organizzazioni presenti in Siria e Iraq ha come obiettivo indiretto l’Iran, ritenuto il manovratore di queste milizie.
Durante la notte, gli Stati Uniti hanno condotto dozzine di attacchi aerei in Siria e in Iraq. Il Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM) ha dichiarato che le sue forze militari hanno colpito più di 85 obiettivi nei due paesi “con numerosi aerei, tra cui bombardieri a lungo raggio provenienti dagli Stati Uniti”. CENTOCOM, in un comunicato, ha aggiunto: “Gli attacchi aerei hanno impiegato più di 125 munizioni di precisione”. CENTCOM ha affermato che le strutture che sono state colpite includevano centri operativi di comando e controllo, centri di intelligence, siti di stoccaggio di armi e altre strutture collegate alle milizie o alla Forza Quds dell’IRGC (Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane). “La nostra risposta è iniziata oggi. Continuerà nei tempi e nei luoghi di nostra scelta”, ha dichiarato il Presidente USA, Joe Biden, al momento dell’annuncio dell’avvenuto attacco di rappresaglia.
Gli attacchi in Siria sono avvenuti a Deir Ezzor e nelle sue campagne così come a Bou Kamal, Mayadeen e nei dintorni lungo il confine siro-iracheno. In Iraq l’aggressione statunitense ha preso di mira le città di al-Qaem e Akashat, vicino al confine con la Siria. Il generale Yehya Rasool, portavoce del Primo Ministro Mohamed Shia al-Sudani, ha dichiarato: “Questi attacchi aerei costituiscono una violazione della sovranità irachena”. Anche il governo siriano ha denunciato l’attacco come una violazione si sovranità e, in un comunicato, ha aggiunto: “L’occupazione di parti del territorio siriano da parte delle forze statunitensi non può continuare”.
Nel frattempo, le milizie della resistenza islamica hanno annunciato di aver già riposto all’attacco USA con una contro-rappresaglia avvenuta con lanci missilistici sulla base aerea di Ain al-Assad, nella provincia irachena di al-Anbar, che ospita le forze di occupazione statunitensi, così come attacchi missilistici sulla base militare di al-Tanf nel sud-est della Siria, vicino al confine con la Giordania e l’Iraq, e sul villaggio di al-Khadra, nella provincia nord-orientale di al-Hasakah. Insomma, di rappresaglia in rappresaglia. E questo non rappresenta di certo una novità.
Infatti, sia in Siria che in Iraq le guerre non sono mai veramente terminate e ancor prima del 7 di ottobre scorso gli attacchi, da una parte e dall’altra, sono stati una costante. Certamente gli eventi che hanno preso piede in Palestina hanno reso questa costante ancora più decisa, con attacchi di maggior spessore. La resistenza islamica ha colpito ripetutamente le postazioni e le basi dell’esercito statunitense: già alla metà di novembre scorso gli attacchi erano stati oltre 50 e avevano ferito 56 soldati americani. La scorsa settimana le forze statunitensi hanno evacuato la loro base militare nel villaggio di Hemo, a ovest della città di Qamishli, nella campagna di Hasakah, proprio a causa dei continui attacchi da parte delle fazioni della resistenza islamica. Stessa cosa è accaduta in Iraq, con le milizie armate che hanno costantemente messo sotto tiro le forze di occupazione statunitensi che ancora stanziano nel Paese, le quali hanno sempre risposto al fuoco.
Di rappresaglia in rappresaglia si scalda sempre di più il Medio Oriente, aumentando continuamente il rischio concreto di una deflagrazione regionale conclamata del conflitto, che già comunque non risparmia il fuoco e i morti in tutta la regione mediorientale.