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Perché vietare le manifestazioni per la Palestina?

Martedì 24 settembre, la Questura di Roma ha vietato le manifestazioni pro-Palestina in programma per il prossimo 5 ottobre nella Capitale. «Il 7 ottobre è la data di una rivoluzione», è una delle frasi con cui i due cortei hanno pubblicizzato la mobilitazione. Questa stessa frase, comunica la Questura, sarebbe alla base del divieto notificato agli organizzatori. Ma, perché il governo, nella sua emanazione del ministero incaricato della sicurezza, e dell’uso della forza, vieta una manifestazione che chiede la fine di un genocidio? Quest’ultimo, tra l’altro, iniziato ben prima del 7 ottobre e che adesso mostra solo una delle sue parti più cruente. Perché vietare una manifestazione in favore all’autodeterminazione – diritto garantito dalle Nazioni Unite – di un popolo colonizzato e massacrato, e quindi ad una indipendenza? D’altronde, la settimana scorsa l’ONU ha adottato una risoluzione che intima a Israele di porre fine “alla sua presenza illegale nei Territori Palestinesi Occupati” e di “cessare la fornitura di armi a Israele”: l’Italia si è astenuta insieme ad altri 42 Paesi, mentre i favorevoli sono stati 124 e i contrari 17, tra cui ovviamente Israele e Stati Uniti. Il governo italiano ha voluto lavarsene le mani cercando di apparire con il piede in due scarpe mentre invece mostra le catene che arrivano da Washington e dal sionismo. Ma perché vietare i due cortei? Perché vietare la manifestazione? Le motivazioni politiche che si possono vedere sono due: la sudditanza al sionismo bipartisan di Washington, così come la volontà di fermare l’insorgere di una nuova stagione di mobilitazioni di massa.

Sottomissione a Washington e al sionismo

Mentre Israele estende le sue operazioni aeree e annuncia un’invasione di terra, il provvedimento preso dalla Questura di Roma era comunque quasi annunciato. Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, aveva infatti dichiarato di stare «valutando» il blocco delle dimostrazioni per evitare che si verificassero «celebrazioni dell’eccidio», in riferimento alle vittime israeliane causate dall’attacco di Hamas. «La prescrizione da parte della Questura di Roma è un divieto politico», hanno dichiarato i Giovani Palestinesi, tra gli organizzatori di uno dei cortei. Manifestare il 5 ottobre «è un atto minimo di disobbedienza», continua il comunicato. Niente smobilitazione, gli organizzatori e i promotori promettono che la manifestazione pro-Palestina si farà.

Senz’altro il governo mostra forse anche più di una simpatia con il mondo sionista, mentre Giorgia Meloni vola a Washington per essere premiata con il Global Citizen Award 2024 dell’Atlantic Conucil, uno dei più importanti think tank dell’atlantismo. Premio consegnato dalle mani di Elon Musk, con cui Meloni si è scambiata i complimenti per il lavoro svolto. Musk è ormai sostenitore allo scoperto di Donald Trump, il quale gli avrebbe offerto anche un posto nella sua futura, ed eventuale, amministrazione. L’ex Presidente è uno strenuo sostenitore di Israele. Durante la sua presidenza ha spostato l’ambasciata USA da Tel-Aviv a Gerusalemme ed è stato firmatario degli Accordi di Abramo, insieme a Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Questi accordi sono finalizzati all’isolamento regionale dell’Iran e al suo indebolimento, specie quando dovesse arrivare anche la firma dell’Arabia Saudita. Se vincesse Trump l’appoggio totale ad Israele sarebbe assicurato. Se vincesse Kamala Harris, l’epilogo sarebbe praticamente il medesimo: sostegno ad Israele, ma fatto in maniera politically-correct. D’altronde negli USA il sionismo, o il filo-sionismo è questione bipartisan. Joe Biden, cattolico, si è dichiarato egli stesso sionista. Harris ha detto che proseguirà sulla strada tracciata dall’attuale amministrazione, ovvero sul far finta di mediare un qualcosa in cui, in realtà, è pienamente schierata. Mentre si eleva l’escalation, con Israele che uccide il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e continua il massiccio bombardamento del Libano, gli Stati Uniti incrementano la propria presenza in Medio Oriente in sostegno dell’alleato di ferro. Meloni ha sostenuto la presidenza di Biden e sosterrà qualsiasi presidenza verrà, che sia di Harris o di Trump. Negli USA sul sionismo tanto non si sbaglia.

Contaminazione e allargamento della critica sociale

Eppure, nel divieto di manifestare per il prossimo 5 ottobre in favore della Palestina, c’è qualcosa di più. Infatti non si spiega come uno Stato democratico possa vietare una manifestazione che chiede la fine di un genocidio. Neanche la mera sudditanza al sionismo di Washington, come anche a quello che si respira in Europa, può spiegare da sola la decisione. La repressione del dissenso operata dal governo Meloni, ha lo scopo di spezzare la possibilità della nascita di una nuova stagione di mobilitazioni di massa. In tendenza con quanto sta avvenendo adesso in altri Paesi europei, e con il recente passato dei vari governi che si sono succeduti, è in atto una securitizzazione delle politiche e delle società. Nel frattempo, i morsi dell’economia e della finanza iniziano a sentirsi sempre di più.

Dalla ribellione studentesca alle altre forme di opposizione e azione in supporto del popolo palestinese e contro le operazioni di Israele e di tutti coloro che sul piano politico, economico, finanziario e industriale supportano il genocidio, si capisce che la coscienza sul tema è forte e vasta. Una mobilitazione del genere non la si vedeva da diversi anni. Anche l’opinione pubblica è in maggioranza consapevole e schierata contro il genocidio, nonostante i suoi manipolatori tentino in tutti modi –  attraverso giornali , televisioni etc. – di influenzarla. La mobilitazione è trasversale e intergenerazionale e capace di influenzare temi interconnessi del dibattito pubblico. Il governo è preoccupato che i cittadini possano acquisire una maggiore coscienza umana e civile e una potenza di azione-generatrice di critica al governo e ai suoi dispositivi ed emanazioni, così come alla società in cui viviamo nel suo complesso.