La funzione della repressione all’interno dell’ordine neoliberista

Con l’avvento dell’epoca moderna e dell’affermarsi del capitalismo come sistema economico dominante capace di plasmare i rapporti sociali e politici dei popoli, il povero è sempre stato visto con senso di disgusto e di colpevolizzazione della sua condizione. Nella società moderna, basata sulla produzione di valore attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato, il povero, disoccupato, era colpevole della sua povertà e del suo disagio sociale, così come dei suoi vizi che lo mantenevano in tale situazione. Darwinismo sociale ed eugenetica hanno giustificato lo stato delle cose come un qualcosa che dipendesse da caratteristiche biologiche e/o sociali che permettevano solo ai “migliori”, a quelli “superiori”, di dominare la piramide sociale e di poter disporre delle masse in base al loro credo suprematista. Quest’ideologia non ha fatto altro che aumentare la colpevolizzazione di coloro che erano ritenuti “inferiori”, “indesiderati”, da dover espellere, controllare, reprime ed eliminare. Di pari passo, tutti questi soggetti, nel corso del tempo, comprendendo di volta in volta categorie diverse di persone, sono stati criminalizzati solo per il fatto di esistere. Oggigiorno, nell’epoca del neoliberismo, la criminalizzazione della povertà e del dissenso sono la prerogativa dello “Stato minimo”, spogliato di ogni sua funzione sociale e collettiva, dal welfare alle varie politiche sociali. Punire i poveri, punire coloro che sono posti ai margini della società, punire chi è costretto a fuggire, punire chi dissente.

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Inconscio collettivo e archetipi. Una dimensione psicologica nello studio sociologico delle organizzazioni

K. Lewin, in un passaggio del suo libro La teoria, la ricerca, l'intervento, spiega come, secondo il suo parere, la psicologia debba rivendicare con forza l'utilizzo di concetti e terminologie confacenti a tale ambito di studi, sia quando interviene nel suo peculiare campo di studio sia quando questa voglia esplorare campi affini, come ad esempio, quello sociologico. Nel libro di G. Bonazzi, Come studiare le organizzazioni, vengono riportate alcune delle teorie espresse in tale ramo della sociologia. Alcune di queste, le più recenti, hanno come proprio oggetto di studio aspetti che interessano maggiormente la parte soggettiva dello studio organizzativo: vengono definiti morbidi (soft), in contrasto con quelli hard (duri), proprio perché puntando ad una dimensione più introspettiva dell'individuo e del rapporto che ne viene con l'organizzazione. L'intento è quello di aprire un’ulteriore finestra di riflessione, o quanto meno, prendere spunto da quanto ha detto Lewin, in merito alla possibilità di un approccio sociologico che tenga anche conto della dimensione psicologia, mantenendone i termini e integrandone i concetti. Da tale spunto inizia questa breve riflessione che cerca di tenere insieme concetti psicologici e sociologici cercando, laddove risulta possibile, di integrarne gli aspetti. C. G. Jung è uno dei protagonisti della riflessione in merito, con il suo concetto di inconscio collettivo e di archetipo. Nello spiegare questi due concetti, spesso perfino apparentemente sovrapponibili, verranno citate comparazioni che altri studiosi hanno fatto nei riguardi di questi – anche da campi non proprio affini –, nonché le sue dirette spiegazioni. Dato che anche Jung ha orbitato attorno alla psicologia della Gestalt, di cui Lewin fu grande esponente, oltre che esporre alcuni concetti di quest'ultimo, vi sarà un confronto tra il pensiero dei due autori. Infine, in merito allo studio sociologico delle organizzazioni, viene esposta la teoria espressa da E. Schein, ovvero, un approccio soft che si concentra sullo studio della cultura nelle organizzazioni e che lui chiama cultura organizzativa; lo scopo è cercare di aprire una riflessione che tenga conto della dimensione psicologica nell'analisi di tali fenomeni sociali, richiamandone i concetti.

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Il grande spettacolo dell’informazione mainstream

Come l'Homo Videns viene plasmato nella società dell'eterno spettacolo: dall'infotainment, che mischia informazione e intrattenimento, all'infodemia, al marketing politico, internet, social network. Da questo ne consegue una sempre maggior atomizzazione della società e degli individui che la compongono, inquadrati come i format che seguono davanti allo schermo, replicabili e sostituibili. Nel flusso continuo della produzione sociale dell'irreale spettacolare, gli individui appaiono come osservatori attivo-passivi nella mediazione dei rapporti sociali della moderna società dello spettacolo.

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